Proseguiamo per le strade di Sesto, passando a fianco al complesso dell'Inalil, dopo aver superato una storica sede dei sindacati confederali. Scattiamo foto alle ragazze con lo sfondo dei primi palazzoni dismessi, sullo sfondo di uno scheletro dietro cui si scorge una gru. Fermiamo un passante, un signore avanti negli anni, il quale fa mostra di voler scambiare volentieri qualche opinione con noi. Ci dice che quel palazzone sullo sfondo recintato è un'area dismessa dove i lavori sono bloccati per le famose tangenti di Penati. Ma non va oltre affermazioni cronachistiche, senza entrare in merito. Si vede che vuole parlare, vuole partecipare, in un mondo dell'informazione che intervista sempre gente di potere, che dà voce solo ad addetti ai lavori, che non chiede niente alla gente comune, a quelli che in definitiva pagano le tasse e alimentano questo sistema che li ignora sistematicamente. Continuiamo a camminare in mezzo a questi palazzoni che immaginiamo abitati come termitai e che Pasolini avrebbe definito esempio classico di "delinquenza edilizia "(non si capisce perché chi vive in queste condizioni dovrebbe sorridere ad una vita che sembra invece sghignazzare di loro dal buio di un tubo di scarico che si inerpica su tetti himalayani), lungo muri pieni di graffiti, mentre il sabato sembra un qualunque giorno infrasettimanale, tutti di fretta, in auto, al massimo in bicicletta, ma di corsa, persino due cinesi che incontriamo hanno un passo olimpionico . Mano mano che ci addentriamo in Sesto incontriamo muri sgretolati pieni di graffiti, muri esterni di fabbriche e capannoni i cui tetti sono crollati e i ferri del calcestruzzo fuoriescono arrugginiti come opere d'arte contemporanea involontarie. La due ragazze osservano tutto impressionate. Un signore brizzolato che incontriamo ci dice che suo zio lavorava alla Falck e si spinge a dire che non capisce tutto questo entusiasmo per La Città della Salute, visto che per costruirla si devono prima spendere soldi per bonificare. Andiamo ancora avanti lungo un rettifilo che ci porta fino ad un incrocio. Solleviamo la testa e leggiamo :"Via Falck". Sorridiamo fra noi, il destino ci ha portati , senza neanche chiedere ad altri, lì dove volevamo andare. Imbocchiamo via Falck, , sullo sfondo notiamo un recinto di lamiere dietro le quali sono cresciuti alberi in gran numero e dietro si intravvede il gigantesco scheletro della Falck. E dietro ancora , in lontananza, le montagne innevate. Eccitati ci avviciniamo al recinto. Intorno è pieno di cartelli recanti la scritta "area dismessa proprietà privata". Sulle lamiere intorno, che ad un certo unto diventano muri, i graffitari si sono esibiti in tutta la loro altre di dipinti murari di strada, con soggetti originali frammisti a classici tipo il primo piano di Tupac Shakur, lo sfortunato rapper di colore morto prematuramente di morte violenta. Io e Cesare scattiamo foto a ripetizione, come se avessimo una mitragliatrice pacifista il cui scopo diverrà quello di catturare qualche raro momento di questo mondo che scompare consacrandolo alla memoria di chi non c'è più o di chi c'è ancora ma giace inascoltato con i suoi ricordi operai in qualche angusta dimora persa nei condomini qui intorno. Lo scheletro, dice Cesare, appare come la struttura di una Chiesa, con la facciata che mostra una sorta di rosone. La quale immagine gli suggerisce il valore sacrale, quasi religioso, che i "padroni delle Ferriere " avrebbero voluto dare al lavoro in generale e al duro lavoro dell'acciaio in particolare. L'esercito dei fabbri tecnologici gli uni accanto agli altri , doveva svolgere le proprie mansioni in piedi in attesa che un qualsiasi sacerdote con un cronometro in mano gli dicesse quand'era il momento di sedersi, per l'omelia a base di paternalismo dispensato a iosa come acqua benedetta, la stessa acqua benedetta che avrebbe fatto arrugginire tutto intorno a loro a distanza di anni. Fotografiamo i graffiti intorno mentre calano le ombre della sera e Batman seduto su un muro del recinto sembra vegliare sulla zona senza essersi accorto che dietro di lui la fabbrica non c'è più. E nemmeno quel mondo di lotte e solidarietà oggi disperso dietro un ultraindividualismo fatto di schermi piatti, siano di tv o pc, ma proprio piatti come gli elettroencefalogrammi di chi si illude che sia arrivata l'America del pensiero , mentre quelli che discettavano del sol dell'avvenire si sono messi a discutere dell'avvenire del soul...Senza pensare che una così bella area poteva diventare un immenso parco alberato al fine di restituire alla natura ciò che gli era stato tolto, con in mezzo un grande spiazzo dove tenere concerti, perché a Milano e dintorni ci sono talmente tante di quelle strutture ospedaliere e cliniche che si finisce per morire di più. Perché a ucciderti è la mancanza di musica. Dentro.
Good Vision
Un post che diventa un'unica grande fotografia della giornata trascorsa assieme, dove le parole e le immagini scavano nel loro immediato e formale realismo in profondità, con quel leggero sarcasmo dissacrante. Difficile stabilire il confine tra reale e surreale nel momento in cui le percezioni sono soggettive, condizionate da vari fattori (su questo argomento scriverò un apposito post). E' altrettanto difficile stabilire per un artista se è un fotografo, uno scrittore, un musicista o altro nel momento in cui la sua necessità di esprimersi e l'energia creativa supera lo strumento stesso adottato. Quindi, come trovo nella poesia una forma di iperrealismo che penetra immediatamente nell'essenza delle cose, qui trovo, nello stile narrativo di Danilo, una vena poetica, che emerge sia nel testo, sia nelle foto. Belli i dettagli dei resti delle fabbriche. Mi piacciono molto i ritratti dove ha saputo catturare espressioni spontanee.
RispondiEliminaSono entusiasta di questo commento , Cesare ha colto l'essenza del fattore propulsivo della mia verve creativa e cioè la facoltà ci esprimersi attraverso ogni forma possibile di linguaggio fondendo tutto insieme al fine di addivenire ad un progetto complessivo di arte globale. Grazie Cesare.
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