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domenica 13 novembre 2016

La sequenza del cane su rotelle

Ad ottobre passato era nella casa dei miei ad Ostuni, nella mia stanza al terzo piano di un condominio di una periferia moderna, quale puo' essere la periferia di un grosso comune del sud rispetto a quella di una metropoli. Mentre osservavo dalla finestra il cielo con nubi di storni che scolpivano in movimento figure geometriche, mantelli scintillanti, draghi volanti, mongolfiere, dirigibili e quanto di più la fantasia del momento mi faceva vedere e mentre pensavo di fotografare quelle immagini, di fermarle con l'obbiettivo, guardando in basso, sul piano strada ho assistito ad una scena particolare. Una ragazza stava cercando di far sgranchire il proprio cane . Ma non si trattava di un cane qualsiasi, bensì di un cane invalido a cui era stato posto un supporto con due rotelle. Perchè evidentemente l'animale aveva le zampe posteriori offese. Mi sono messo a scattare senza pensarci, perchè la dolcezza, la tenerezza, la bontà d'animo, per me rappresentano la quintessenza della bellezza. Cercando di non violare la privacy, in questo caso, come invece da fotografo di strada faccio in altri casi(del resto se ti metti un cilindro in testa e passeggi in centro a Milano non lo fai esattamente per non essere notato), ho scattato queste foto che vi dono come un pensiero gentile per la giornata, per la vita, perchè non è vero che la cattiveria affascina. E' la bontà che possiede il vero fascino, la cura degli altri , persino a costo di non curarsi di se stessi.














Personale di Emiliano Capotorto

Il 2 ottobre recentemente passato ho visitato la personale di Emiliano Capotorto. Scelto dall'amico Dottor Filippo Tancredi ,psichiatra quotatissimo e ,originale,  nella sua ricerca della cura della malattie della mente e dell'anima attraverso suggestioni artistiche, trovando che la bellezza dell'arte invece che rinchiusa in polverose soffitte eburnee ad appannaggio di pochi esperti, possa invece mettersi al servizio di tutti nella cura della mente e dello spirito, esplicando appieno il proprio potere taumaturgico,  questo pittore dal vissuto misterioso ed affascinante(vive da anni in una casa  a tre metri dal binario della ferrovia, ha fatto l'istruttore di bodybuilding "natural" e ambisce a  lavorare nelle pompe funebri) ha esposto le sue  opere nelle stanze del  Centro psichiatrico, Anisè, in quel di Bergamo, di cui Filippo Tancredi è animatore e guida.
Girando fra le affollate stanze del Centro ho avuto modo di ammirare i lavori di Capotorto, apprezzandone la tecnica e i significati. Scambiando qualche battuta con l'autore stesso  ho potuto trarre conferma che l'amore, la morte, il corpo, il viso come specchio dell'anima, la voglia di evadere mista alla paura di perdere i riferimenti di una vita trascorsa nella "casa sui binari", ma anche personaggi mistici del pensiero come William S. Bourroughs, frammisti a ritratti di persone a lui vicine, parenti , rappresentano un immaginario fitto e variegato da cui il pittore pesca suggestioni che pone su tela. La sua pittura è istintiva e spesso lo porta dove ab origine nemmeno egli sa dove andrà a parare; e solo dopo la conclusione del quadro, osservandolo, a suo dire, riesce a capire cosa ha provato nel dipingerlo. In quanto a cosa voglia dire un quadro a chi lo guarda, Capotorto, molto intelligentemente mi dice, beh, il quadro dice quello che chi lo osserva pensa che voglia dire, credo che l'essenza della pittura sia questa. Nell'apprezzare la bella mostra splendidamente organizzata da Filippo Tancredi e nel ringraziarlo per il suo mecenatismo disinteressato, dispensatore di bellezza , in un'epoca in cui persino nell'arte la riuscita economica di un autore pare frutto di galoppinismo politico, pubblico queste foto come viatico di un sicuro futuro successo, per un artista, un pittore, di cui sentiremo presto ancora parlare.

Buona visione



















































sabato 12 novembre 2016

Salento ionico una giornata di fine ottobre 2016

Un giorno di ottobre di recente decidiamo di visitare Monteruga , una frazione di Veglie(Le) abbandonata negli anni '80 e meta di turismo fotografico dell'abbandono, perlomeno a leggere il venerdì di Repubblica che i miei comprano ancora e alcuni siti internet. In macchina, giornata calda ma nuvolosa e che minaccia pioggia, tagliamo la provincia di Brindisi da Latiano, Torre Santa Susanna, Mesagne, verso Veglie, in mezzo a provinciali pericolosissime dove ad ogni piè sospinto senza alcuna cura per se' e per gli altri in spregio della propria e altrui vita, api, motocicli, trattori, vespe , vespine, spuntano da tratturi che si aprono su queste lingue di asfalto rabberciato e crepato dalle piogge torrenziali del clima recentemente tropicale. Occorre fare molta attenzione e restare concentrati il più possibile, se persino per chi ti precede le frecce sono armi per indiani e non indicatori luminosi che segnalano un cambio di posizione del tuo e altrui mezzo. In mezzo ad uliveti, case diroccate e abbandonate, poderi incolti, muri dipinti da graffitari che hanno ivi trovato un inatteso paradiso di tavolozze murarie, giungiamo sul posto. Dopo un breve girovagare individuiamo il sito. Entriamo in una sterrata che sembra dare sul piazzale di una masseria , ovunque, su colonne , alberi, cancelli arrugginiti, segnali di divieto di ingresso per proprietà privata. Parcheggiamo l'auto sulla destra e ignoriamo il feroce abbaiare di un rottweiler legato fortunatamente ad una lunga catena. E mentre ci avventuriamo fra le prime case abbandonate e dirute, in lontananza , sporgendosi da un balcone del corpo centrale della masseria messa male in arnese, scorgiamo un tizio che si sta squarciasgolando per indicarci che non si puo' entrare perchè e' proprietà privata. Io faccio cento metri e approssimandomi al rottweiler, mi avvicino per sentire meglio.
-Buongiorno, signore, siamo venuti per fare una visita a Monteruga
-I cartelli non li sapere leggere?, dice il tizio , coroncina di capelli intorno alla pelata, torso nudo, pelazzi nerogrigi sul petto, pancia debordante e sguardo truce.
-Si, ma sul venerdì di Repubblica e su internet  si dice che essendo un sito di importanza turistica si puo' visitare lo stesso.
-E' tutto sbagliato! Lei mi sta disturbando e io stavo per mangiare...
-Dov'è finita la famigerata accoglienza salentina?
Silenzio. Mani sui fianchi. Mussolini.
Non è il caso di esacerbare gli animi, sono qui per farmi un giro, in vacanza, per rilassarmi e le successive richieste di spiegazioni a gente del luogo incontrata per strada che nicchia e smorzica frasi tipo film sciasciani sulla Sicilia anni '50 mi convince che c'è del marcio e che non bisogna andare sino in Danimarca.
Riprendiamo la macchina e ad andatura lenta ci dirigiamo verso Santa Cesarea, verso il mare, verso lo Ionio, quel mare che quando l'adriatico è mosso è calmo a tavola e  viceversa e in 25 chilometri puoi scegliere il versante dove andare a farti il bagno e trovare acque calme modello piscina multicolore mediterranea.
Ogni tanto scendo dalla macchina  e scatto qualche foto, le strade sono semideserte, calme, tranquille, un western pacifico e silente che sonnecchia dopo l'abbuffata del casino estivo che ha consentito a molti esercenti di "fare la puccia" e conservare riserve auree per affrontare l'inverno.
I viali di palme africani su sfondi da romanzi di Camus, qualche caminoncino scaldapanini chiuso per pigrizia che sta lì a fare da tavolozza a qualche graffitaro notturno, il mare dai colori cangianti , cormorani in meditazione zen, gabbiani striduli in cielo, caserme solitarie su sondi marini, culi di statue scolpiti a dimostrare che persino le cose inanimate , da queste parti, sono provvisti di sensualità intrinseca, concludono una giornata memorabile, dove profumi di brezze marine e colori cangianti mixati dai filtri del sole penetrante fra le nubi in movimento, hanno fatto da giusta cornice ad un contorno umano assente o da dimenticare.

Buona visione