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giovedì 17 ottobre 2013

Milano da Romolo a Rozzano e ritorno, 9/10/13, photos By Danilo Coppola

Con il 325 da Corsico scendo a Romolo, fermata della linea verde-sull'autobus donne arabe con hijab , egiziani e marocchini che parlavano in arabo che era esattamente quello che sembrava quanto ad una mia possibile comprensione(ma l'arabo mi affascina come lingua e soprattutto la natura pittorica della sua scrittura)-Poi proseguo a piedi, scarpe da trekking, scarpe da camminatore invernale, stanco caracollante tuareg suburbano, tuta blu da tuareg e atteggiamento ninja con la fotocamera al collo. Catturo immagini alla stazione della metro che è anche una fermata delle ferrovie che vanno a Mortara, treni ricoperti di graffiti che paiono decorazioni maya passano rapidi e studenti e pendolari ci salgono su, zainetti variopinti ed iphone digitato a una mano come giocolieri, giovani ragazze fumano nervosamente l'ultima sigaretta prima di immergersi nell'Ade della metropolitana dove i "diavoli tentatori" sono le decine di arabi o cingalesi che hanno posato nel sottopassaggio i propri tappeti pieni di cianfrusaglie made in Naples. A piedi percorro un bel pezzo di viale Liguria facendo qualche scatto qua e là, poi proseguo su viale Tibaldi, mentre al centro della strada passano la 90 e la 91 che di notte hanno l'utenza antropologicamente più pittoresca della città. Quando arrivo all'incrocio con via Meda prendo il tram numero 15 che mi porterà a Rozzano, la meta del mio safari suburbano. Il tram è pieno all'inverosimile e ben presto imbocca via dei Missaglia tagliando di netto le abitazioni del lato destro della strada da quel del lato sinistro. A destra palazzoni immensi e fatiscenti che paiono oleografici torri gemelle crivellate da raffiche di mitragliatrice, pareti crepate di calcestruzzo armato, finestre in anticorodal da cui sporgono signore di etnia sud del mondo e suditalica, a sinistra palazzi moderni, termitai circondati da giardini che sembrano finti come le facce degli architetti che li hanno progettati, fra un "tagliando"  e l'altro dal chirurgo plastico, stratosferici edifici sedi di executives aziendali, concessionarie di varie case automobilistiche, palestre superfiche piene di solarium frequentati dalle figlie degli architetti di cui poc'anzi, insomma due facce della stessa medaglia di degrado urbano ed esistenziale. Il tram è pieno di gente, pendolari, per lo più, in quest'ora pomeridiana, di ritorno da lavori di bassa forza in centro a  Milano, callcenteriste, neolaureati che s'atteggiano a manager delle comunicazioni nei loro discorsi altisonanti fatti ad alta voce da cui filtra la delusione esistenziale di essere finiti a vendere contratti telefonici a vecchi moribondi che userebbero un computer come rialzo per recuperare le dentiere dimenticate sull'armadio prima di dormire. Signore di mezz'età con borse borchiate che devono stare attente a come si muovono, in quella calca, per non deturpare i visi concentrati di loro colleghe di sesso di mezz'età che sfogliano "Chi" con la stessa voluttà con cui un tredicenne si sega su youporn. Ad ogni fermata scendono a grappoli e subito la maggior parte mette mano al pacchetto di sigarette(Diana, fra le più economiche), per combattere lo stress e le frustrazioni di essere partiti dal meridione anni addietro e di essere finiti ad abitare a Rozzangeles, che così la chiamano quella parte di Rozzano,  che si sviluppa intorno a via Gratosoglio., che è poi in territorio milanese. Decido di scendere anch'io. Subito mi trovo di fronte a questi immensi grattacieli dalle altezze Himalayane. I muri in basso sono cosparsi di graffiti e scritte  fra le quali mi colpiscono alcune frasi in bella calligrafia , dei versi poetici firmati "Ivan". La gente a quest'ora del giorno se ne va in giro con i crani abbassati , sconfitti, con le facce preoccupate o rassegnate che guardano per terra forse perché guardando in cielo potrebbero ricordarsi che abitano al quindicesimo piano di uno di questi palazzi che sembrano di un quartiere degradato di Sao Paulo in Brasile. Mi avventuro in mezzo ai palazzoni e la sensazione di angoscia, piano piano, si va affievolendo, mano mano che incontro bambini che scorrazzano in bicicletta, ragazze mulatte che parlano  con accento rozzanese usando alla perfezione dei gerghi periferici che sono giunti al resto d'Italia tramite i testi dei rapper più famosi del momento.  Attraverso un buio sentiero fra due grattacieli ed entro in uno spiazzo dove c'è un centro sociale e fuori, appena all'ingresso, ci sono dei ragazzi seduti che chiacchierano pacatamente, anche perché non si ha l'idea che la palingenetica del posto sia imminente e davanti a loro, nel centro dello spiazzo, dei ragazzi pakistani giocano a cricket e uno di loro indossa una maglietta recante sul retro la scritta "pakistani proud", orgoglio pakistano. Mentre giocano si scambiano battute divertenti con gli italiani che li stanno a guardare. Non c'è odio o razzismo, in loro, forse i ragazzi, quelli che genericamente chiamiamo" i giovani", realizzeranno, prescindendo dalle propria preparazioni culturali , ma invece, proprio, per usucapione dell'altro da se', la perfetta e inevitabile integrazione, realizzata nel rispetto delle proprie rispettive usanze e tradizioni, così, semplicemente vivendo insieme. Scatto delle foto in libertà , senza che nessuno mi guardi in cagnesco o mi imponga di non farlo-in fondo per certi versi può essere sgradevole vedere qualcuno che ti fotografa come allo zoo , come un animale raro che vive in una giungla di baobab di cemento sforacchiati dai proiettili delle gangs- Percorro le strade intorno, piene di bar al cui ingresso  una folla di gente presumibilmente inoccupata-vista l'ora non inoltratasi nella sera- trascorre le proprie giornate a scommettere su qualsiasi cosa tranne che sul proprio futuro. Abbandonati dai governi nazionali e locali, lasciati al proprio destino, allo stato brado, liberi solo di provare odio per lo straniero venuto al rubargli il vuoto buio delle loro tasche. In lontananza enormi palazzi recano scritte e graffiti curiosi, che sono il retaggio di un disagio che trova sfogo in questa forma d'arte spontanea, che se non è proprio michelangiolesca, perlomeno mostra chiazze di colore su pareti grige e insignificanti . Ancora qualche frase di "Ivan", scritta in bella calligrafia, mentre delle ragazze parlano dei propri problemi sedute ad attendere il tram numero 3  che non si decidono a prendere, per andare in centro a Milano. Mi fanno venire in mente quei giovani meridionali disoccupati che rinunciano persino ad emigrare tanto in loro la speranza è morta. Prendo il tram tre ,scatto qualche foto ai passanti suo marciapiedi, mano mano che ci riavviciniamo a Milano. Scendo di nuovo in Tibaldi.  A piedi mi avvio verso Romolo. Prima di salire sull'autobus  che mi riporterà a Corsico , qualche centinaio di metri prima della mia fermata, sulla destra, su un muretto basso di cemento, scorgo una delle ultime frasi di "Ivan" che dice così: "Non abocate all'amo son loro i vermi".Nella fretta dello scrivere in bella calligrafia, s'è preso la licenza poetica e ha scritto "abboccate" con una "c", potere della poesia e della fretta dello scrivere di notte, che non cancella la voglia di vivere delle vite degne di essere vissute, più di quelle che i padroni del cemento vogliono imprigionare per sempre nei sobborghi della Città della Moda, pensando che dal brutto non potrà mai risorgere alcuna poetica. Ma alla fine questa prossimità cementizia coatta cementerà nuovi legami generazionali che un giorno cambieranno questa Città ( e i suoi dintorni) la cui unica moda che  gli si possa attribuire è l'intramontabile predisposizione a fare soldi per i soliti noti a spese dei soliti ignoti.


















































































































































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